L’efficacia del giudicato penale di assoluzione nel processo tributario, un equivoco risolvibile applicando la CEDU

La Corte EDU ha stabilito che l’assoluzione penale deve influenzare anche i procedimenti tributari successivi, impedendo nuove condanne per lo stesso fatto. La giurisprudenza europea chiarisce che l’efficacia indiretta della presunzione di innocenza si applica anche dopo archiviazioni o prescrizioni, estendendo le garanzie penali a tutto il processo tributario, non solo alle sanzioni. Quali effetti sul processo tributario?

Articolo tratto da Blast – Quotidiano di Diritto Economia Fisco e Tecnologia, direttore Dario Deotto

Lo scorso 4 marzo la sezione tributaria della Cassazione, con ordinanza 5714/2025, ha rimesso gli atti al primo presidente affinché valuti l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. I contenuti dell’ordinanza sono già stati esaminati su BLAST (cfr. A. Gaeta – L. Romano “Alle Sezioni Unite la nuova disposizione sul ne bis in idem” del 5 marzo e A. Carinci “Sulla vexata questio circa l’applicabilità dell’articolo 21-bis dovranno intervenire le Sezioni Unite” del 7 marzo). Mi limito a rammentare che il nuovo articolo 21-bis del Dlgs 74/2000 prevede l’estensione dell’efficacia del giudicato penale di assoluzione in ogni stato e grado del processo tributario, e passo direttamente a esaminare la problematicità del riformato sistema punitivo tributario, attuato con il Dlgs 87/2024, rispetto ai chiari orientamenti emergenti dalla giurisprudenza della Corte EDU.

Vale previamente rammentare che il novellato articolo 1 comma 1 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000) finalmente racchiude tra i principi generali dell’ordinamento tributario anche la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ma, evidentemente, né il legislatore né i giudici ancora hanno familiarizzato con la necessità di applicare, alle vicende tributarie, i diritti fondamentali contenuti nella CEDU (come scaturiscono dall’interpretazione della Corte EDU), necessità peraltro risalente al 1955, ossia all’anno in cui l’Italia ha ratificato la CEDU con la Legge n. 848.

Anzitutto occorre liberare l’articolo 21-bis da un grande equivoco: il suo contenuto nulla ha a che fare con la tutela del diritto al ne bis in idem. Sulle garanzie insite all’articolo 4 del Protocollo addizionale alla CEDU n. 7 (articolo 4P7, rubricato “diritto di non essere giudicato o punito due volte”) non possiamo soffermarci in questa sede, ma è sufficiente osservare il primo comma dell’articolo 21-bis per dedurre la sua estraneità alla tutela del ne bis in idem: esso riguarda infatti l’efficacia di giudicato della sentenza penale di assoluzione nel processo tributario, mentre la tutela del ne bis in idem impone di nemmeno soffermarsi sul “segno” della sentenza penale (condanna o assoluzione?), essendo ab origine precluso l’assoggettamento del cittadino a un doppio processo al cospetto dell’idem factum materiale. O meglio, alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU sull’articolo 47, a fronte dell’illegittimità del doppio binario penale e tributario disegnato dal Dlgs 74/2000, all’esito di uno dei due procedimenti, penale o tributario, l’altro deve essere interrotto, in ossequio alla garanzia processuale del divieto di bis in idem.

Ma v’è dell’altro. La giurisprudenza della Corte EDU ci insegna infatti che l’estensione dell’efficacia del giudicato penale di assoluzione nei procedenti esterni, dunque anche nel processo tributario, discende dall’applicazione di un altro diritto fondamentale (diverso del ne bis in idem) e precisamente dal diritto alla presunzione di innocenza, di cui al paragrafo n. 2 dell’articolo 6 CEDU (diritto a un equo processo). Il diritto alla presunzione d’innocenza possiede infatti un’efficacia diretta e una indiretta. Nella prima rientrano:

  1. l’attribuzione alla pubblica accusa dell’onere della prova, con il collegato diritto al silenzio spettante all’accusato;
  2. il dovere di ogni pubblica autorità, compresi organi inquirenti e giudici, di astenersi dal rilasciare dichiarazioni da cui traspaia l’attribuzione di responsabilità all’accusato;
  3. il permanere della presunzione d’innocenza anche nei gradi di giudizio successivi al primo.

Se invece guardiamo alla efficacia indiretta della presunzione di innocenza, si deve affermare il diritto dell’accusato di avere le medesime tutele, sopra enucleate, nel corso dei procedimenti paralleli al processo penale, nonché nei procedimenti successivi alla chiusura del processo penale che si sia risolto con l’archiviazione o il proscioglimento o l’assoluzione dell’imputato. Dunque, è l’efficacia indiretta nei procedimenti successivi al processo penale, che rileva nel caso che ci occupa, poiché l’articolo 6.2 della CEDU impone al giudice del secondo procedimento (relativo all’idem factum) di tener conto che l’imputato è stato scagionato nel procedimento penale, altrimenti l’efficacia diretta della presunzione d’innocenza sarebbe una tutela solo teorica, illusoria. In un procedimento successivo al processo penale non può essere rimesso in discussione l’esito di tale processo, in considerazione del fatto che esso assicura le maggiori garanzie, anche probatorie, nelle giurisdizioni nazionali.

Nel procedimento successivo occorre tenere conto dell’assoluzione con formula piena, sia nel caso in cui l’esame delle prove conduca all’affermazione che il fatto non sussiste o che l’imputato non la ha commesso, sia nel caso in cui le prove siano insufficienti o contraddittorie o manchino del tutto. In questi casi, nel procedimento successivo non può essere emesso un giudizio di condanna. Tali conclusioni, avvalorate dalla giurisprudenza di Strasburgo anche in ambito tributario (cfr. Corte EDU 30.4.2015, Causa Kapetanios et alii v. Grecia), chiariscono che l’articolo 21-bis in esame discende dal diritto alla presunzione di innocenza, e risolvono inoltre una delle questioni che hanno richiesto il rinvio alle SS. UU. da parte della citata ordinanza della Corte di cassazione. Nella giurisprudenza della Corte EDU non sono previste distinzioni di efficacia indiretta per le differenti ipotesi di assoluzione con formula piena di cui ai primi due commi dell’articolo 530 c.p.p., i quali distinguono l’ipotesi in cui il verdetto assolutorio sia frutto di un riscontro pieno del materiale probatorio, da quello dell’insufficienza delle prove a carico.

E’ appena il caso di sottolineare che la trasposizione nel DLgs 74/2000 dell’efficacia indiretta della presunzione d’innocenza, avvenuta con l’articolo 21-bissi disvela comunque lacunosa, a prescindere dai dubbi suscitati dall’ampiezza della formula assolutoria ex articolo 530 c.p.p. Infatti, appare ingiustificata la richiesta del 21-bis di un previo procedimento dibattimentale, dovendosi piuttosto applicare l’articolo 6.2 CEDU anche successivamente a un giudizio di proscioglimento all’esito di un rito abbreviato, come pure di un decreto di archiviazione per insufficienza di prove e perfino per prescrizione del reato (sulle conseguenze della prescrizione del reato tributario vedi Corte EDU 6.10.2020, Causa Agapov v. Russia, mentre da ultimo cfr. Corte EDU 19.12.2024, Causa Episcopo et Bassani v. Italia, in cui è stata giudicata illegittima la confisca subita dal Sig. Episcopo poiché le Corti italiane hanno assunto la responsabilità penale pur a fronte della prescrizione del reato). Fermo restando che un distinguo sulle conseguenze processuali si impone nei casi di archiviazione, laddove l’insufficienza di prove non preclude l’esame dell’accusato al cospetto del rinvenimento di nuove prove a carico (che abbiano però il rigore richiesto dal procedimento penale), mentre la prescrizione del reato impedisce la sola presunzione di colpevolezza, non ostando dunque a un nuovo esame della posizione dell’imputato in un nuovo procedimento (tributario).

Infine, la giurisprudenza della Corte EDU è in grado di risolvere anche la seconda questione oggetto di rinvio alle SS. UU. da parte della citata ordinanza della Corte di cassazione, ovvero l’ambito di applicazione del giudizio di assoluzione, ossia se debba ritenersi limitato alla parte del processo tributario afferente alle sanzioni, oppure se debba estendersi anche alla parte del processo afferente all’accertamento del tributo.

Detto che le sentenze della Cassazione, che hanno ritenuto di limitare l’efficacia del giudicato penale di assoluzione al solo annullamento delle sanzioni tributarie, sono state tratte in inganno anche dall’erronea percezione di applicabilità del diritto al ne bis in idem (che a stretto rigore riguarderebbe le sole sanzioni), occorre rilevare l’ormai consolidato orientamento dei giudici di Strasburgo riguardo all’applicazione più estesa dell’articolo 6 CEDU nell’ambito delle garanzie penali. Come certificato da ultimo in Corte EDU 3.11.2022, Causa Vegotex International S. A. v. Belgio, e in Corte EDU 14.12.2021, Causa Malgarejo Martinez de Abellanosa v. Spagna, i giudici di Strasburgo non solo ritengono applicabile al processo tributario, in cui sia esaminata la legittimità delle sanzioni, l’intero spettro delle garanzie penali dell’articolo 6, ma ritengono altresì valere una presunzione (relativa) della stretta connessione tra le contestazioni afferenti alle sanzioni e quelle relative al tributo accertato.

In ossequio a detta presunzione, l’esito del giudizio sulla conformità del processo nazionale rispetto all’articolo 6 CEDU, comprensivo dunque del diritto alla presunzione d’innocenza ex articolo 6.2, si estende dalle sanzioni tributarie (che possiedono natura sostanzialmente penale) alla parte del processo afferente alle maggiori imposte accertate.

Per i giudici di Strasburgo l’oggetto del processo tributario è unico, non potendosi scindere (salvo casi particolari) il giudizio sull’accertamento del tributo da quello sull’irrogazione delle sanzioni.

 

Alberto Calzolari per Blast

17 Marzo 2025

 

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