Ritardato pagamento delle imposte: la deducibilità degli interessi

L’Agenzia delle Entrate ha confermato che gli interessi passivi per il ritardato pagamento delle imposte sono deducibili dal reddito d’impresa, indipendentemente dalla natura delle imposte stesse.
Questo chiarimento supera orientamenti passati e offre alle aziende maggiore certezza fiscale.

Ribadendo quanto precisato nella precedente risposta a interpello n. 541/E/2022, l’Agenzia delle Entrate ha nuovamente affermato che gli interessi passivi pagati sugli atti di conciliazione tributaria o di accertamento con adesione per il ritardato versamento dell’IRES e dell’IRAP sono interamente deducibili dal reddito d’impresa e ciò a prescindere dal fatto che siano collegati o meno a imposte indeducibili.

Per queste ragioni, deve definitivamente ritenersi superata la posizione presa dalla Suprema Corte nella discussa ordinanza n. 28740/2022 con cui i massimi giudici avevano proclamato l’indeducibilità dal reddito d’impresa degli interessi di mora legati al ritardato pagamento delle imposte.

Di seguito l’analisi della questione.

 

Deducibilità degli interessi per ritardato pagamento imposte: la risposta a interpello del 2024

interessi ritardato pagamento imposte

Nella risposta a interpello n. 172/E/2024 l’Ufficio ha affrontato nuovamente il tema della deducibilità dal reddito d’impresa degli interessi passivi dovuti a causa del ritardato pagamento delle imposte.

Nello specifico il caso esaminato riguardava una società che dopo aver ricevuto un accertamento sul “transfer price” per i periodi d’imposta dal 2014 al 2018 aveva sottoscritto un atto di adesione con l’Agenzia delle Entrate, tramite il quale erano state versate le maggiori imposte definite, le relative sanzioni e gli interessi per il ritardato pagamento delle imposte.

Gli interessi erano stati iscritti dalla società nella voce 20 del Conto Economico, rubricato “interessi passivi e oneri assimilati”, dell’anno 2022 per poterli dedurre dal reddito d’impresa in forza del principio di derivazione dal reddito complessivo, di cui all’art. 83 del TUIR[1].

Si ricorda che in base al principio richiamato il reddito imponibile è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal Conto Economico le variazioni in aumento o in diminuzione previste dalle successive disposizioni del TUIR.

Ebbene, in questo contesto si evidenzia che gli interessi passivi per ritardato pagamento delle imposte rappresentano costi che hanno concorso alla formazione dell’utile/perdita del periodo, dato che nessuna norma del TUIR ne vieta la deduzione.

A tal riguardo, la società istante nella domanda di interpello presentata ricorda che l’art. 99, comma 1 del TUIR[2], che nega la deducibilità delle imposte dal reddito d’impresa, non estende questo divieto agli interessi passivi relativi a dette imposte.

Pertanto, non sussistendo alcuna preclusione non è possibile estendere questo divieto, neppure in via interpretativa, agli interessi per ritardato pagato dell’IRES e dell’IRAP, richiamando il carattere dell’accessorietà di questi rispetto all’imposta indeducibile da cui originano.

In effetti, gli interessi per ritardato pagamento hanno natura giuridica diversa dai debiti d’imposta dai quali derivano, perché:

  • trovano la loro ragion d’essere nella necessità di compensare lo Stato per il ritardato versamento delle imposte;
  • non derivano assolutamente da un obbligo impositivo.

Occorre aggiungere, inoltre, che è possibile trovare una evidente conferma della deducibilità degli interessi sui debiti d’imposta e, pertanto, anche di quelli riguardanti il ritardato pagamento dell’IRES e dell’IRAP nella relazione illustrativa all’art. 63 del vecchio TUIR (ora art. 96 del TUIR) dove viene specificato che:

nel primo comma si è ritenuto superfluo indicare specificamente che rientrano nell’accezione di interessi passivi anche le somme corrisposte a norma del decreto n. 602, in quanto appare indubbia la loro natura di interessi passivi, ancorché accessori dell’imposta”.

Ritornando a noi, la società istante chiude il suo parere rilevando che:

il Legislatore ha inteso che ai fini della deducibilità degli interessi passivi non assuma alcuna rilevanza il fatto che essi siano o meno accessori ai tributi a cui afferiscono poiché nel mondo del reddito d’impresa gli interessi passivi sono in ogni caso ”inerenti” rispetto all’attività da cui originano i ricavi che concorrono alla formazione del reddito imponibile”.

Dal canto suo, l’Ufficio, richiamando la precedente risposta a interpello n. 541/E/2022, conferma la tesi della società istante chiarendo che in linea di principio gli interessi passivi sono deducibili dal reddito d’impresa a prescindere dal fatto aziendale che li ha generati o dalla deducibilità del costo al quale sono collegabili.

In particolare, secondo l’Amministrazione Finanziaria, non differenziandosi dagli altri oneri similari collegati al ritardato adempimento di un’obbligazione, gli interessi legati alla riscossione e all’accertamento delle imposte rientrano nella categoria degli interessi passivi.

 

Il precedente orientamento del fisco

La possibilità di portare in deduzione gli interessi passivi in presenza di accertamenti sulle imposte dei redditi e dell’IRAP era già stata affermata dall’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 541/E/2022.

In quell’occasione la società istante aveva chiesto “lumi” in merito alla deducibilità dal reddito d’impresa:

  • dell’IVA indetraibile derivante a seguito di accordi conciliativi con l’Ufficio;
  • degli interessi passivi per ritardato pagamento.

Ebbene, l’Agenzia delle Entrate aveva risposto che la deducibilità degli interessi passivi…

…“deve essere determinata solo applicando le modalità di calcolo dettate dal TUIR al loro ammontare complessivo, indipendentemente dal fatto aziendale che li ha generati o dalla deducibilità del costo al quale sono collegabili. Negli stessi termini si è pronunciata anche la Corte di Cassazione affermando, nella sentenza n. 12990 del 12 aprile 2007, depositata il 4giugno 2007, che gli interessi passivi correlati alla riscossione e all’accertamento delle imposte non differiscono in nulla da qualsiasi altro onere collegato al ritardo nell’adempimento di un’obbligazione e rientrano quindi nell’ambito applicativo proprio della categoria degli interessi passivi, regolata dall’allora art. 63 del TUIR, separandosi inevitabilmente dal regime impositivo del tributo cui accedono”.

Di conseguenza, quando dalla liquidazione, dal controllo formale della dichiarazione o dall’accertamento maturano interessi passivi correlati alle maggiori imposte dovute, questi hanno una funzione compensativa per il ritardato pagamento.

In altre parole, questi interessi passivi sono dovuti perché il tributo entra nelle casse dell’Erario successivamente alla scadenza originaria. Pertanto, devono essere trattati con un regime impositivo diverso da quello dei tributi dai quali derivano.

Occorre anche precisare però che, pur essendo collegati in un certo qual modo alla liquidità dell’imprenditore, dato che il mancato pagamento nei termini genera una temporanea disponibilità finanziaria dell’impresa pari all’ammontare degli importi non versati allo Stato, questi interessi passivi non derivano da operazioni finanziarie, ovvero non hanno una “causa finanziaria”.

Nonostante ciò, gli interessi passivi maturati a seguito di atti di accertamento delle imposte sono integralmente deducibili:

  • in base alle ordinarie regole di deducibilità del reddito d’impresa;
  • nel periodo d’imposta in cui sono emanati gli atti che ne prevedono il pagamento.

 

La risoluzione n. 178/E/2001

Sempre l’Ufficio era giunto ad analoghe conclusioni nella risoluzione n. 178/E/2001, riguardante l’ipotesi degli interessi passivi corrisposti a seguito della dilazione per il pagamento delle sanzioni comminate dalla Commissione europea.

Nel caso di specie l’Amministrazione Finanziaria aveva precisato che gli interessi corrisposti a fronte di un finanziamento rappresentano un costo che solo astrattamente è riconducibile ad uno specifico impiego.

Effettivamente, data l’elevata fungibilità del denaro, trovare un collegamento diretto tra un finanziamento e l’impego delle risorse finanziarie generate non sembra semplice. Si pensi ad esempio ad un’impresa che apre un finanziamento per sostenere un determinato costo o per svolgere una determinata attività. In questa situazione non è possibile individuare con assoluta certezza il nesso tra il denaro in entrata e il corrispondente flusso in uscita.

Ecco, però, che anche in questo caso gli interessi passivi derivanti dal finanziamento sono assimilati a un costo generale dell’impresa, ovvero ad un costo che non è riferibile ad una particolare attività aziendale.

Ed è proprio per queste ragioni che sia il previgente art. 63 del TUIR che l’attuale art. 96 del TUIR non mettono alcun limite alla deducibilità degli interessi.

In pratica gli interessi sono deducibili a prescindere dall’evento da cui derivano o dalla natura dell’onere cui gli stessi risultano accessori.

Pertanto, considerato che il TUIR riconosce l’autonomia degli interessi passivi, questi devono essere dedotti nel loro ammontare complessivo applicando i dettami dell’art. 96 del TUIR.

Aggiungiamo, infine, che nella risoluzione n. 178/E/2002 l’Agenzia delle Entrate aveva richiamato anche il citato passaggio della Relazione ministeriale illustrativa del TUIR in cui era stato chiarito che tra gli interessi passivi rientrano anche quelli versati per la rateazione delle imposte iscritte a ruolo, dato che:

appare indubbia la loro natura d’interessi passivi, ancorché accessori all’imposta”.

 

Il trattamento ai fini IRAP

La risoluzione n. 228/E/2007 è il documento di prassi cui fare riferimento per la deducibilità o meno ai fini IRAP degli interessi dovuti per il ritardato pagamento delle imposte.

In quell’occasione, l’Ufficio, esaminando il caso degli interessi moratori applicati per l’adempimento tardivo di obbligazioni doganali ha escluso la possibilità di dedurli dal valore della produzione delle imprese industriali e commerciali, dato che trattasi di “oneri finanziari” iscritti in voci di Conto Economico non rilevanti ai fini IRAP ai sensi dell’art. 5 del Dlgs n. 446/1997.

 

L’orientamento della giurisprudenza

Viene anzitutto da chiedersi perché nonostante la consolidata prassi dell’Amministrazione Finanziaria sorgano ancora dubbi in merito alla deducibilità degli interessi passivi dovuti per il ritardato pagamento delle imposte.

Il problema sorge a causa della giurisprudenza che in più occasioni si è espressa in modo vago.

Prendiamo ad esempio la recente ordinanza di Cassazione n. 28740/2022 con cui i massimi giudici hanno affermato l’indeducibilità degli interessi moratori versati da una società di capitali a titolo di ritardato pagamento delle imposte.

Nella citata pronuncia i giudici di legittimità giustificano l’indeducibilità degli interessi richiamando l’art. 109 del TUIR in base al quale:

le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.

Come noto, la disposizione in parola introduce il cosiddetto principio di “inerenza”.

Un principio in virtù del quale le spese e gli altri componenti negativi risultano deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi, o altri proventi, che concorrono a formare il reddito.

La stessa norma prevede, però, un trattamento diverso per gli interessi passivi, che diversamente dagli altri componenti negativi del reddito d’impresa sono sempre deducibili, senza alcun giudizio sull’inerenza, purché nei limiti quantitativi previsti dall’art. 96 del TUIR.

In buona sostanza la disposizione stabilisce che gli interessi passivi sono oneri generati dalla funzione finanziaria dell’impresa e non possono essere:

  • riferiti a una particolare gestione aziendale;
  • ritenuti accessori a un particolare costo.

Tuttavia, a parere degli ermellini queste considerazioni non sono sufficienti a sostenere che in base all’art. 96 del TUIR sono deducibili anche gli interessi moratori, corrisposti dal contribuente in caso di ritardato pagamento del tributo.

Sul punto evidenziamo che la Suprema Corte aveva inizialmente sostenuto[3] che gli interessi passivi derivanti dal ritardato pagamento del tributo non avevano funzione sanzionatoria, ma servivano a compensare l’Erario dal ritardo nell’esazione e per queste ragioni non poteva essere esclusa la loro deducibilità.

Successivamente, la posizione però, era mutata[4].

Ponendo l’attenzione sulla natura del titolo dal quale deriva l’obbligo di pagamento degli interessi passivi gli ermellini avevano, infatti, corretto il tiro affermando che gli interessi non erano deducibili qualora l’obbligazione principale fosse stata una sanzione.

Ebbene, nella sentenza n. 28740/2022 la Cassazione ha precisato che gli interessi moratori derivanti dal mancato pagamento delle imposte, oltre a violare le norme che impongono di provvedere al pagamento entro termini prestabiliti, hanno una funzione risarcitoria, perché consentono allo Stato di ottenere l’effettivo pagamento di quanto dovuto nella misura e per il tempo trascorso a causa del ritardato pagamento.

Per queste ragioni, a parere della Cassazione il pagamento di questi interessi, risultando accessorio all’obbligazione principale, deve assumere la stessa disciplina della indeducibilità prevista per il tributo dal quale originano.

Una tesi analoga a quella sopra esposta è stata resa sempre dalla Suprema Corte nella sentenza n. 24930/2011.

In quell’occasione i massimi giudici hanno affermato che per poter essere considerati deducibili gli interessi passivi devono “tradursi in oneri generati dalla funzione finanziaria a sostegno dell’attività aziendale”.

In altre parole, secondo la Cassazione gli interessi passivi, per poter essere dedotti, devono risultare funzionali alla produzione del reddito d’impresa.

Di conseguenza, gli interessi passivi sono deducibili dal reddito d’impresa solo quando l’operazione da cui derivano è rapportabile ai ricavi aziendali.

Diversamente, la deduzione deve essere negata quando gli interessi non derivano da un’operazione idonea a produrre utili, come accade in presenza di interessi moratori per omesso o tardivo versamento di somme da versare all’Erario.

In pratica secondo questa visione, gli interessi moratori sono indeducibili perché derivano dal mancato pagamento di un tributo, anch’esso indeducibile, non originando, invece, dall’attività d’impresa, ovvero dalla funzione finanziaria svolta.

Si fa notare come questa tesi fortemente restrittiva sia stata criticata da Assonime nella Circolare n. 18/2012 dove è stato osservato come sia alquanto discutibile ipotizzare che gli interessi di mora possano essere considerati una sanzione al pari di quelle amministrative o penali, che, come sappiamo, rappresentano una “reazione” dell’ordinamento a una condotta illecita.

Invero, gli interessi di mora rappresentano più semplicemente la quantificazione di un danno patrimoniale commesso dall’impresa nei confronti di soggetti privati o pubblici.

 

Riflessioni finali

Confermando quanto chiarito nella risposta a interpello n. 541/E/2022 l’Agenzia delle Entrate nella recente risposta a interpello n. 172/E/2024 ha ribadito che gli interessi dovuti a seguito di accertamento di maggiori imposte sul reddito e IRAP sono deducibili dal reddito d’impresa nel loro ammontare complessivo, nonostante si riferiscano a imposte non deducibili.

Pertanto, si spera che a questo consolidato orientamento dell’Ufficio si allinei anche la giurisprudenza di legittimità che contrariamente ha, invece, negato anche con recenti pronunce la deducibilità degli interessi per il ritardato pagamento delle imposte.

 

***

NOTE

[1] L’art. 83 del TUIR afferma che:

“1. Il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione. In caso di attività che fruiscono di regimi di parziale o totale detassazione del reddito, le relative perdite fiscali assumono rilevanza nella stessa misura in cui assumerebbero rilevanza i risultati positivi. Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, anche nella formulazione derivante dalla procedura prevista dall’articolo 4, comma 7-ter, del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, e per i soggetti, diversi dalle micro-imprese di cui all’art. 2435 ter del codice civile che non hanno optato per la redazione del bilancio in forma ordinaria, i quali redigono il bilancio in conformità alle disposizioni del codice civile, valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai rispettivi principi contabili. I criteri di imputazione temporale di cui al terzo periodo valgono ai fini fiscali anche in relazione alle poste contabilizzate a seguito del processo di correzione degli errori contabili. La disposizione di cui al quarto periodo non si applica ai componenti negativi di reddito per i quali è scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8, del DPR n. 322/1998, e sussistendo gli altri presupposti, opera soltanto per i soggetti che sottopongono il proprio bilancio d’esercizio a revisione legale dei conti.

1-bis. Ai fini del comma 1, ai soggetti, diversi dalle micro-imprese di cui all’art. 2435-ter del codice civile, che redigono il bilancio in conformità alle disposizioni del codice civile, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni emanate in attuazione del comma 60 dell’art. 1 della Legge n. 244/2007, e del comma 7-quater dell’art. 4 del Dlgs n. 38/2005”.

[2] L’art. 99, comma 1 del TUIR prevede che:

“1. Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento”.

[3] Si veda in tal senso la sentenza di Cassazione n. 12990/2007.

[4] Si vedano le sentenze n. 11766/2009 e n. 8135/2011.

 

Alessandro Marcolla

Lunedì 10 febbraio 2025

 

Questo intervento è tratto dalla circolare settimanale di CommercialistaTelematico…

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