Ancora molti sono i dubbi circa l’applicazione del reverse charge sull’acquisto di prodotti tecnologici, dubbi legati in parte all’assenza di una regolamentazione ad hoc e in parte alla presenza ormai di svariati canali di acquisto.
L’acquisto e la vendita di prodotti tecnologici come cellulari, computer portatili e tablet, che richiedono l’applicazione del reverse charge, fanno sorgere ancora oggi qualche dubbio.
Questo è dovuto principalmente a due aspetti: il primo è che l’Agenzia delle Entrate non ha regolamentato e chiarito completamente questa fattispecie, mentre il secondo aspetto è che la mole di prodotti acquistati in canali diversi dal commercio al dettaglio sta crescendo sempre di più, generando a livello europeo un sistema di frode Iva.
È stato quindi introdotto a livello comunitario, con una Direttiva in materia di Iva, il meccanismo del reverse charge per settori che sono ritenuti ad alto rischio di frode come le cessioni di telefoni cellulari, di dispositivi a circuito integrato, di console di gioco, tablet PC e laptop.
I limiti al reverse charge per prodotti tecnologici cambiano da paese a paese
Ci sono tuttavia alcuni Stati che, al fine di limitare l’applicazione del meccanismo del reverse charge nel commercio all’ingrosso, hanno inserito un limite di importo al di sotto del quale non è possibile applicare questo meccanismo.
Alcuni esempi sono la Germania, dove il limite è stabilito in 5.000 euro e la Gran Bretagna (quanto ancora era un Paese UE), dove il limite è di 5.000 sterline.
In Italia invece, oltre a non stabilire un limite al di sotto del quale il reverse charge non trova applicazione, non si è nemmeno ben chiarito se questo sistema debba applicarsi solo nel commercio all’ingrosso.
La nostra norma prevede infatti che il reverse charge si applica alle vendite di telefoni cellulari, per le cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop, a prescindere dalla quantità venduta.
Reverse charge: il funzionamento in Italia
Considerando che nel nostro Paese le norme si interpretano in base a come sono scritte, in quanto Stato di diritto, qualsiasi cessione di tali prodotti, effettuate verso un soggetto passivo Iva, sono assoggettate a reverse charge.
Vero è che la norma subisce delle modifiche nel momento in cui il legislatore si accorge che la norma non raggiunge gli scopi prefissati, anche se in Italia tuttavia, l’Agenzia delle Entrate tende a modificare l’interpretazione della norma, piuttosto che la norma stessa.
In questo contesto si ricorda la circolare 59/E/2010 la quale affermò che:
“si ritiene che l’obbligo del meccanismo dell’inversione contabile alle fattispecie in esame, ai sensi del citato articolo 17, comma 6, del DPR n. 633 del 1972, trovi applicazione per le sole cessioni dei beni effettuate nella fase distributiva che precede il commercio al dettaglio.
Le cessioni al dettaglio, infatti, si caratterizzano per la destinazione del bene al cessionario-utilizzatore finale, ancorché soggetto passivo”.
Successivamente, con risoluzione 36/E/2011, l’Agenzia chiarì che:
“il riferimento al commercio al dettaglio deve intendersi finalizzato a individuare i soggetti che esercitano attività di commercio al minuto e attività assimilate di cui all’articolo 22 del DPR n. 633 del 1972.
Ne consegue che sono escluse dall’obbligo di reverse charge le cessioni dei beni in argomento effettuate da “commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico, in spacci interni, mediante apparecchi di distribuzione, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante”.
Nello stesso documento si affermò inoltre che:
“L’esclusione dall’obbligo di reverse charge torna, altresì, applicabile anche a soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 22 del DPR n. 633 del 1972 che, tuttavia, effettuano le cessioni dei beni in argomento direttamente a cessionari-utilizzatori finali.
Tale circostanza, ad avviso della scrivente, può ritenersi sussistere esclusivamente nelle ipotesi in cui la cessione del telefono cellulare sia accessoria alla fornitura del c.d. “traffico telefonico””.
Il caso di acquisto da un grossista
Mal interpretando la risoluzione, il soggetto che acquistava da un grossista, che si qualificava come “utilizzatore finale” del telefono e che quindi non lo avrebbe rivenduto, doveva riconoscere l’Iva al proprio fornitore.
L’Agenzia delle Entrate ha da poco smentito questo orientamento chiarendo in una risposta ad un interpello presentata da un grossista, che:
“non condivide la soluzione prospettata dall’Istante, secondo la quale l’applicazione del reverse charge non è dovuta, a seguito delle richieste dei cessionari e dall’uso che questi faranno del bene acquistato”.
Per concludere, l’acquisto da parte di soggetto passivo Iva sarà assoggettato ad Iva se avviene in un punto vendita o per corrispondenza.
Diversamente, quando l’acquisto viene quindi effettuato presso un grossista, si applicherà il meccanismo del reverse charge, con l’eccezione del caso in cui il cellulare viene venduto come accessorio al traffico telefonico (risoluzione 36/E/2011).
A cura di Alberto De Stefani
Giovedì 10 marzo 2022
Questo intervento è tratto dalla circolare settimanale di CommercialistaTelematico…
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