La tematica delle società di comodo ha visto riaccendersi l’interesse della giurisprudenza e degli operatori in vista della dichiarazione relativa all’anno pandemico 2020.
In questo approfondimento trattiamo della disciplina della disapplicazione delle norme penalizzanti in tema di società di comodo, prendendo spunto da una recente sentenza di Cassazione.
In quali casi questa normativa può essere legittimamente disapplicata?
Le disposizioni in materia di società non operative o “di comodo” intendono scoraggiare la costituzione e il mantenimento di soggetti societari (con forma giuridica di tipo commerciale) presuntivamente finalizzati a gestire dei beni “privati” fruendo dei vantaggi tributari che si associano a una gestione “imprenditoriale” degli stessi (deduzione dei costi, detrazione dell’IVA). Dedichiamo questo intervento alle possibilità di disapplicazione della normativa.
È possibile sfuggire alle penalizzazioni previste in presenza di determinate cause di esclusione o di disapplicazione automatica, oppure se vengono dimostrate situazioni oggettive che, nel periodo di imposta interessato, giustificavano la mancata produzione di un risultato economico “minimo” congruo.
Al di là delle esemplificazioni fornite dalla prassi e delle casistiche finora esaminate dalla giurisprudenza, esiste un’area grigia di possibili ipotesi e considerazioni discrezionali, con le quali si cerca di coprire una varietà indeterminata di circostanze: situazioni nelle quali, o per insufficienza di riscontri, o per impossibilità a fornire una “prova” decisiva, occorre elaborare soluzioni “caso per caso”.
Le condizioni che legittimano la non applicazione delle disposizioni speciali in materia di società non operative (come pure di quelle relative alle società in perdita sistematica) devono riguardare, comunque, eventi che sfuggono al controllo dell’“imprenditore”. In questa direzione va la recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 23384/2021) secondo la quale anche la “inettitudine produttiva”, dovuta alla mancanza di strategie imprenditoriali, può costituire una causa giustificativa, in quanto situazione connotata da assoluta involontarietà.
Aspetti generali delle società di comodo
Le società “non operative” o “di comodo” sono dei soggetti societari che presuntivamente il legislatore associa a un possibile abuso dello strumento societario, in quanto ritenuti privi di un’effettiva attività economica e finalizzati a fruire indebitamente dei benefici associati alla determinazione analitica del reddito di impresa e alla possibilità di fruire dell’IVA a credito.
Alle società non operative si sono affiancate in seguito le società in perdita sistemica, che, indipendentemente dai beni strumentali detenuti, sono caratterizzate da una situazione di perdita fiscale protratta per più periodi di imposta.
La normativa primaria di riferimento in materia è rappresentata:
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per le società non operative (“di comodo”): dall’art. 30 della legge 23.12.1994, n. 724, modificato dal D.L. 04.07.2006, n. 223 (convertito dalla legge 4.8.2006, n. 248), nonché dalla legge 27.12.2006, n. 296 e dalla legge 24.12.2007, n. 244;
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per le società in perdita sistemica (cui si applicano le stesse restrizioni delle società “di comodo”), dall’art. 2, commi da 36-quinquies a 36-duodecies, del D.L. 13.08.2011, n. 138, convertito dalla legge 14.09.2011, n. 148.
Due tipologie di soggetti
La condizione di società non operativa (o snop) scaturisce dalla presenza di un determinato volume di asset patrimoniali, con i quali vengono confrontati i ricavi della società (“test di operatività”): se questi sono troppo bassi rispetto a un valore percentualmente determinato in base ai beni patrimoniali (immobilizzazioni), la società ha l’obbligo di dichiarare un reddito minimo p