in questo periodo dedicato all’assegnazione dei beni ai soci è interessante analizzare anche i profili fiscali che riguardano i conferimenti dei soci nei confronti delle società partecipate: i profili civilistici, la differenza fra conferimenti e finanziamenti, l’emersione di plusvalenze, la tassazione su interessi attivi e le regole per la detrazione dal reddito sociale degli interessi passivi pagati dalla società
Conferimenti e finanziamenti dei soci – Aspetti generali
Le società possono essere dotate dei mezzi per funzionare sia attraverso conferimenti, a fronte dell’assunzione della qualità di socio (o della sua variazione), ovvero tramite finanziamenti, che non vanno a incrementare il patrimonio ma danno vita a debiti della società, spesso nei confronti dei soci che hanno scelto questa via alternativa.
Le due ipotesi si legano a conseguenze differenti sotto i profili civilistico e tributario.
In particolare:
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il conferimento è assimilato ad una cessione di beni a titolo oneroso, con la conseguente tassazione, a carico del soggetto conferente, delle plusvalenze relative ai beni conferiti (art. 9, c. 5, TUIR); queste plusvalenze, emergenti dal confronto tra il valore normale delle azioni o titoli ricevuti in cambio dei beni oggetto del conferimento ex art. 9 TUIR e l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dei beni conferiti, concorrono alla formazione del reddito di impresa, ovvero, se si tratta di persone fisiche, sono tassabili come redditi diversi;
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i finanziamenti possono essere o meno fruttiferi; salvo prova contraria, però, si presume che lo siano, e ciò fa sì che in capo al soggetto che finanzia vengano tassati gli interessi attivi; anche in tale ipotesi, la tassazione è differente a seconda che si tratti di soggetti IRES o comunque di imprese, ovvero di persone fisiche che agiscono al di fuori dell’attività di impresa.
I conferimenti
Sotto il profilo tributario, ai fini delle imposte sui redditi, le disposizioni di riferimento sono rappresentate dagli artt. 175 e 176 del TUIR.
In epoca anteriore alla Finanziaria 2008 (art. 1, comma 46, lett. c, n. 3, L. 24.12.2007, n. 244), il primo articolo si occupava dei conferimenti in regime di continuità dei valori contabili, relativamente ai quali, per i conferimenti di aziende o partecipazioni controllo e collegamento effettuati tra soggetti residenti in Italia nell’esercizio dell’attività d’impresa, si considerava valore di realizzo quello attribuito alle partecipazioni ricevute dal soggetto conferente, oppure (se superiore) quello attribuito all’azienda o alle partecipazioni conferite nelle scritture contabili del soggetto conferitario.
Questo regime resta in vigore limitatamente alle partecipazioni di controllo e di collegamento, mentre non è più operante per quanto attiene alle aziende.
Il secondo articolo si occupa invece dei conferimenti d’azienda in regime di neutralità fiscale, nell’ambito dei quali non si realizzano plus o minusvalenze, purché il soggetto conferente assuma, quale valore delle partecipazioni ricevute, l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita; il soggetto conferitario deve invece subentrare nella posizione del conferente relativamente agli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda, distinguendo in un apposito prospetto della dichiarazione dei redditi i valori esposti in bilancio e quelli fiscalmente riconosciuti, con la relativa differenza.
Va inoltre evidenziato che l’art. 177 del Testo Unico disciplina la permuta di azioni o quote tra società o enti commerciali residenti, per effetto della quale è acquistata o integrata una partecipazione di controllo, riconoscendo anche in tale ipotesi la neutralità fiscale (a condizione che alle azioni ricevute sia attribuito lo stesso “costo fiscale” delle azioni o quote date in cambio). Anche in tale contesto, lo scambio può avvenire tramite conferimento.
Occorre altresì considerare l’art. 178, relativo a fusioni, scissioni, conferimenti e scambi di azioni tra soggetti di diversi Stati UE, nel quale (a seguito del D.Lgs. n. 344/2003) sono state integralmente trasfuse le previsioni dell’art. 1 del D.Lgs. n. 544/1992, «Attuazione della Direttiva del Consiglio 90/434/CEE relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi di azioni concernenti società di Stati membri diversi».
Sono in tale sede individuati i requisiti soggettivi e oggettivi che devono sussistere affinché, in estrema sintesi:
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i maggiori valori emergenti a seguito dell’imputazione del disavanzo di fusione o scissione non siano imponibili in capo al beneficiario;
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i conferimenti non costituiscano realizzo di plus o minusvalenze.
Il successivo art. 179 rende applicabile un regime di neutralità fiscale che, relativamente a fusioni e scissioni, fa richiamo alle relative norme valevoli in ambito «nazionale», e per i conferimenti rimanda al regime di cui al menzionato art. 176 del TUIR.
Plusvalenza in caso di conferimento
La circolare del Ministero delle Finanze n. 320 del 19.12.1997 ha chiarito che, per la determinazione dell’eventuale plusvalenza emergente in capo al soggetto conferente, devono essere confrontati:
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il valore:
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delle partecipazioni iscritto nelle scritture contabili del conferente;
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attribuito all’azienda o alle partecipazioni conferite nelle scritture contabili del conferitario (se superiore al primo);
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e il costo fiscalmente riconosciuto agli stessi beni.
Se il conferimento avviene nel corso del periodo di imposta:
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gli ammortamenti dei beni conferiti sono effettuati ragguagliando la quota di ammortamento imputabile all’esercizio in corso al momento del conferimento ai giorni che intercorrono tra l’inizio del periodo di imposta e la data di conferimento;
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le spese di manutenzione e le altre previste dall’art. 102, comma 6, del TUIR, sostenute nell’esercizio di conferimento, sono deducibili nei limiti ivi previsti;
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i fondi di previdenza, nonché quelli di trattamento di fine rapporto, costituiti dalla conferente, si trasferiscono al soggetto conferitario se è stato trasferito anche il rapporto di lavoro cui afferiscono;
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gli accantonamenti al fondo rischi su crediti o al fondo svalutazione crediti e al fondo rischi su cambi, relativi ai crediti conferiti, non sono trasferiti al soggetto conferitario, atteso che quest’ultimo provvederà ad effettuare tale valutazione sui crediti trasferiti, a fine esercizio, sulla base dell’art. 106 del TUIR.
Con riferimento alle valutazioni delle rimanenze, se ad esempio è stato adottato il criterio LIFO e nel corso dell’esercizio di conferimento sono state effettuate anche delle ordinarie operazioni di cessione, ai fini della individuazione del costo dei beni deve adottarsi un criterio di proporzionalità che tenga conto delle stratificazioni del magazzino evidenziate dal conferente.
Il valore ai fini delle plusvalenze
Ai fini della determinazione delle plusvalenze imponibili, per i conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o di collegamento effettuati tra soggetti residenti in Italia nell’esercizio di imprese commerciali, è considerato valore di realizzo:
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quello attribuito alle partecipazioni ricevute in cambio dell’oggetto conferito nelle scritture contabili del soggetto conferente;
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ovvero, se superiore, quello attribuito all’azienda o alle partecipazioni conferite nelle scritture contabili del soggetto conferitario.
Va rammentato che le plusvalenze patrimoniali – di cui all’art. 86 del TUIR – sono costituite dalla differenza fra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato. Se il corrispettivo della cessione è costituito da beni ammortizzabili e questi vengono iscritti in bilancio allo stesso valore al quale vi erano iscritti i beni ceduti è considerata plusvalenza il solo conguaglio in denaro eventualmente pattuito.
I maggiori valori delle immobilizzazioni finanziarie costituite da partecipazioni in imprese controllate o collegate, iscritte in bilancio a norma dell’art. 2426, n. 4, c.c., o di leggi speciali, non concorrono alla formazione del reddito, per la parte eccedente le minusvalenze già dedotte.
Tali maggiori valori concorrono a formare il reddito nell’esercizio e nella misura in cui siano comunque realizzati.
Conferenti persone fisiche
Gli effetti fiscali della cessione di partecipazioni effettuata da soggetti IRPEF al di fuori del regime d’impresa è disciplinata dagli artt. 67, c. 1, lett. c – c-bis, e 68, del TUIR, assumendo come costo delle partecipazioni il valore attribuito alle stesse, nei termini sopra esposti.
Secondo il comma 3 dell’articolo 68 del TUIR:
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le plusvalenze di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 67 (ossia quelle collegate al realizzo di partecipazioni qualificate), per il 49,72% del loro ammontare, sono sommate algebricamente alla corrispondente quota delle relative minusvalenze;
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se le minusvalenze sono superiori alle plusvalenze, l’eccedenza è riportata in deduzione, fino a concorrenza del 49,72% dell’ammontare delle plusvalenze dei periodi successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che sia indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale le minusvalenze sono state realizzate.
Nel caso in cui le cessioni siano relative a partecipazioni non qualificate, nonché nel caso della percezione di utili da partecipazioni non qualificate, operano regole diverse da quelle viste poco sopra. Occorre infatti rammentare che:
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gli utili percepiti da persone fisiche residenti al di fuori dell’esercizio d’impresa, in relazione a partecipazioni non qualificate in società ed enti residenti, sono soggette a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta del 26%;
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sulle plusvalenze di cui alle lettere da c-bis) a c-quinquies), dell’art. 67, c. 1, D.P.R. 917/1986, rimane ferma l’applicazione dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 26%, a norma dell’art. 5, c. 2, D.Lgs. 461/1997 (con la possibilità di adottare il regime della dichiarazione, ovvero quelli del risparmio amministrato o del risparmio gestito).
Se è stata posta in essere una cessione di azioni acquisite sulla base di un conferimento non proporzionale, la verifica della natura qualificata o non qualificata della partecipazione ceduta deve essere comunque effettuata facendo riferimento alla percentuale di capitale sociale, ovvero di diritti di voto nell’assemblea ordinaria, assicurata dalla partecipazione ceduta.
I finanziamenti da parte di soci
È ricorrente nelle imprese e nei gruppi di imprese la situazione nella quale le risorse finanziarie necessarie a garantire il funzionamento di una società vengono erogate dai soci (persone fisiche o società a loro volta).
Il finanziamento costituisce un’alternativa rispetto al conferimento: sotto il profilo civilistico vale però a garantire le risorse finanziarie per la gestione, ma non evidentemente a rafforzare patrimonialmente l’impresa.
Occorre considerare che i finanziamenti concessi dai soci possono essere o meno fruttiferi di interessi; secondo l’art. 46 del TUIR, le somme versate alle società commerciali si considerano tuttavia date a mutuo se dai bilanci di queste società non risulta che il versamento è stato effettuato ad altro titolo.
Salvo prova contraria, gli interessi si considerano percepiti alle scadenze e nelle misure pattuite per iscritto. Se le scadenze non sono stabilite per iscritto, gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo di imposta. Se la misura non è determinata per iscritto, gli interessi devono essere computati in base al tasso legale1, a norma dell’art. 45, secondo comma, del TUIR.
La c.d. presunzione di onerosità (della quale tenere adeguato conto in previsione delle possibili attività di accertamento fiscale) non è testualmente prevista dalle disposizioni del TUIR (che si limitano a presumere, fatta salva la prova contraria, la dazione di somme a mutuo), bensì dall’art. 1815 del codice civile.
Tale disposizione normativa prevede che
“salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell’art. 1284 c.c.”.
L’articolo da ultimo citato stabilisce che gli interessi si computano al saggio legale quando le parti non abbiano determinato una diversa misura e richiede la forma scritta ad substantiam per la pattuizione di interessi in misura superiore al saggio legale (ma sempre nei limiti consentiti dalla legge).
La norma comporta due passaggi: se il socio o il partecipante erogano delle somme alla società o all’ente:
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se non è fornita prova contraria, le somme si presumono concesse a titolo di mutuo;
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se è fornita prova contraria (potendo trattarsi, ad esempio, della rifusione di un prestito originariamente concesso al partecipante dalla società o dall’ente), la presunzione non opera.
Nel caso sub a), gli interessi:
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se non è fornita prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto;
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se è fornita prova contraria, vale – evidentemente – il riferimento ai diversi riscontri (documentali) forniti;
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in mancanza di accordi scritti, gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo d’imposta, e la loro misura è considerata pari al saggio legale.
Ai fini dell’operatività della presunzione relativa, occorre guardare anche dell’iscrizione dei finanziamenti nel passivo di bilancio, alla voce “debiti verso soci per finanziamenti”. Tale evidenza supera gli eventuali riscontri contrari che il contribuente intendesse fornire.
La presunzione può essere bloccata attraverso l’iscrizione in bilancio a titolo di “versamenti in c/futuro aumento di capitale”, oppure “versamenti in c/capitale”.
Effetti reddituali per i soci
Per i soci persone fisiche non esercenti attività di impresa, gli interessi percepiti sui finanziamenti erogati alle società commerciali costituiscono reddito di capitale e su di essi si applica una ritenuta fiscale in base alle regole vigenti in materia di tassazione delle rendite finanziarie.
Per effetto degli artt. 3 e 4 del D.L. 24.04.2014, n. 66, convertito dalla L. 23.06.2014, n. 89, l’aliquota della ritenuta IRPEF a titolo di acconto sui redditi di natura finanziaria, tra i quali figurano gli interessi, è stabilita nella misura del 26%.
Se il socio percipiente gli interessi ha natura di impresa, non va invece applicata alcuna ritenuta e gli interessi confluiscono, per competenza, nel reddito di impresa.
La società finanziata (che corrisponde gli interessi) deduce specularmente gli interessi passivi ai fini IRES nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 96 del TUIR (nei limiti degli interessi attivi + il 30% del ROL).
Gli interessi passivi per le società di capitali
Se il finanziamento, produttivo di interessi passivi per il soggetto finanziato, è attribuito a una società di capitali, occorre tener conto delle seguenti regole incardinate nell’art. 96 del TUIR.
Secondo il primo comma di tale articolo, gli interessi passivi e gli oneri assimilati, diversi da quelli compresi nel costo dei beni ai sensi del primo comma, lettera b), dell’art. 110, sono deducibili in ciascun periodo d’imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati. L’eccedenza è deducibile nel limite del 30% del risultato operativo lordo (ROL) della gestione caratteristica.
La quota del ROL non utilizzata per la deduzione degli interessi passivi e degli oneri finanziari di competenza può essere portata ad incremento del ROL dei successivi periodi di imposta.
Il comma 2 dell’art. 96 definisce il ROL ai fini fiscali, come corrispondente alla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’art. 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui al n. 10, lettere a) e b) (ammortamenti delle immobilizzazioni materiali e immateriali), e dei canoni di leasing di beni strumentali, come risultanti dal conto economico dell’esercizio; per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali (IAS/IFRS), si assumono le corrispondenti voci di conto economico.
Il comma 3 dell’articolo precisa che, ai fini della nuova normativa, assumono rilevanza gli interessi passivi e attivi, nonché gli oneri e i proventi assimilati, derivanti da contratti di mutuo, da contratti di leasing, dall’emissione di obbligazioni e titoli similari e da ogni altro rapporto avente causa finanziaria, con esclusione degli interessi impliciti derivanti da debiti di natura commerciale e con inclusione, tra gli attivi, di quelli derivanti da crediti della stessa natura.
Nei confronti dei soggetti operanti con la P.A., si considerano tuttavia interessi attivi rilevanti anche quelli virtuali, calcolati al tasso ufficiale di riferimento aumentato di un punto, ricollegabili al ritardato pagamento dei corrispettivi.
Ai sensi del comma 4, gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati indeducibili in un determinato periodo d’imposta sono dedotti dal reddito dei periodi d’imposta successivi, se e nei limiti in cui in tali periodi l’importo degli interessi passivi e degli oneri assimilati di competenza eccedenti gli interessi attivi e i proventi assimilati sia inferiore al 30% del ROL di competenza.
Il comma 5 aggiunge che le nuove disposizioni non si applicano alle banche e agli altri soggetti finanziari indicati nell’art. 1 del D.Lgs. 27.01.1992, n. 87, con l’eccezione delle società che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in società esercenti attività diversa da quelle creditizia o finanziaria, alle imprese di assicurazione, nonché alle società capogruppo di gruppi bancari e assicurativi.
Per i soggetti menzionati (banche e altri soggetti finanziari), gli interessi passivi, sono semplicemente deducibili dalla base imponibile IRES nei limiti del 96% del loro ammontare.
Il comma 6 stabilisce che resta ferma l’applicazione prioritaria delle regole di indeducibilità assoluta previste dall’art. 90, secondo comma, e dai commi 7 e 10 dell’art. 110 del TUIR, dall’art. 3, comma 115, della L. 28.12.1995, n. 549, in materia di interessi su titoli obbligazionari, e dall’art. 1, comma 465, della L. 30.12.2004, n. 311, in materia di interessi sui prestiti dei soci delle società cooperative.
Infine, per quanto attiene agli interessi passivi nell’ambito del consolidato fiscale, per evitare effetti penalizzanti per le holding di partecipazione, il legislatore ha riconosciuto la possibilità di sfruttare a livello di consolidamento l’eventuale capienza di deduzione non sfruttata da una società del gruppo a favore di un’altra società del gruppo.
27 settembre 2017
Fabio Carrirolo
NOTE
1 Il saggio di interesse legale è fissato nella misura dello 0,1% annuo a partire dall’1 gennaio 2017 (decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 7.12.2016, pubblicato nella G.U. n. 291 del 14.12.2016).