La cessione di quote societarie al valore nominale è possibile? È fiscalmente rischiosa per profili di elusività?
Analisi della prassi del notariato e della giurisprudenza di Cassazione
In questo articolo trattiamo della cessione da parte di una persona fisica di quote di società, di persone o di capitale, ad un valore pari al nominale, inferiore al valore effettivo, o comunque anche ad un valore inferiore alla frazione di capitale netto.
Si tratta di operazione rischiosa sotto l’aspetto fiscale?
E l’Agenzia delle Entrate ha la possibilità di contestare il corrispettivo indicato?
Come vedremo, dal 2016 la Cassazione è intervenuta due volte su questo particolare tema.
E seppure con motivazioni diverse, e in parte anche contrastanti, alla fine ha ammesso la possibilità di un accertamento, alla presenza di qualche ulteriore elemento.
Ricordiamo come il TUIR (art. 68, comma 6 del D.P.R. n. 917/1986) preveda che la cessione di una partecipazione societaria possa dar luogo ad una plusvalenza (redditi diversi), costituita “dalla differenza tra il corrispettivo percepito ovvero la somma od il valore dei beni rimborsati ed il costo od il valore di acquisto assoggettato a tassazione”, aumentato degli oneri ivi indicati.
Si prevede esplicitamente il corrispettivo percepito, e non il valore effettivo. La questione è tutta qui, come si vedrà.
Quote societarie cedute al valore nominale
Il corrispettivo di cessione
L’articolo 68 sopra indicato fa quindi esplicito riferimento al “corrispettivo” percepito. Mentre il valore normale costituisce il criterio di riferimento, per la quantificazione del corrispettivo, solo qualora lo stesso sia “in natura”.
Per queste cessioni, osserviamo come anche per le imprese occorra sempre assumere il “corrispettivo” conseguito (artt. 85 e 86 del D.P.R. n. 917/1986).
In ogni caso non esiste, per le persone fisiche, una norma che sancisca per queste cessioni l’esistenza di un “negozio misto cum donatione”, mentre tale previsione si ha per le imprese in genere, per i beni (comprese quindi anche le partecipazioni) “destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”.
In questi casi la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il valore normale e il costo dei beni stessi (art. 86, comma 3, del D.P.R. n. 917 del 1986), ovvero si comprende tra i ricavi (nel caso si tratti di beni, comprese le partecipazioni, che danno luogo a ricavi) il valore normale dei beni “destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa” (art. 85, comma 2).
Persona fisica cedente
Trattiamo il caso della cessione di quote di società da parte di socio persona fisica, non imprenditore.
In presenza di una significativa differenza di valore, tra corrispettivo e valore nominale con una contemporanea presenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, l’Amministrazione Finanziaria potrebbe rettificare il valore della cessione.
Per la determinazione del prezzo la prassi evidenzia queste ipotesi:
- al valore nominale della quota (corrispondente alla percentuale del capitale sociale) oppure
- al costo fiscale per il cedente oppure
- al valore della quota di patrimonio netto (trascurando i plusvalori latenti sulle immobilizzazioni, l’avviamento e l’eventuale quota di utile dell’anno in formazione),
- oppure si applicano criteri intermedi.
E di norma accade che, in occasione di meri riassetti di quote tra soci (es. il prezzo, scontato, tiene anche conto dell’apporto da parte del socio acquirente) oppure di cessione tra familiari è prassi assai diffusa determinare il prezzo di cessione sulla scorta del valore nominale delle quote (o del mero costo fiscale delle stesse per il cedente), azzerando così di fatto il capital gain in capo al cedente.
Il presupposto impositivo
Il plusvalore conseguito è tassato ex art. 67 e 68 TUIR sulla base di quanto incassato, indipendentemente dal valore normale.
L’elemento rilevante è unicamente il corrispettivo incassato, a nulla influendo l’elemento psicologico che ha portato a cedere ad un prezzo eventualmente inferiore a quello di mercato.
E’ stato osservato come, nel campo delle imposte dirette, tutte le volte in cui il legislatore si sia voluto sottrarre a tale principio, lo abbia espressamente previsto. Si veda, ad esempio, la tassazione in base al cd. “valore norma